La bellezza delle donne - La bellezza delle donne

Vittoria Aganoor Pompilj: la Musa dimenticata del Lago Trasimeno
Elegante, colta, inquieta. Vittoria Aganoor Pompilj è stata una delle voci poetiche più raffinate del panorama letterario italiano tra Ottocento e Novecento, eppure il suo nome oggi riecheggia solo tra le acque calme del Lago Trasimeno, dove trascorse gli anni più felici della sua vita.
Cresciuta in un ambiente colto e privilegiato, ebbe una sensibilità fuori dal tempo e dalle convenzioni. Ma è l’amore a cambiare per sempre il suo destino. Nel 1901 sposa Guido Pompilj, deputato umbro e instancabile difensore del Trasimeno, e si trasferisce nella villa di Monte del Lago, a Magione.
Ma la vita, come la poesia, sa essere crudele. Colpita da una malattia incurabile, Vittoria muore il 7 maggio 1910. Poche ore dopo, il marito si toglie la vita con un colpo di pistola, sigillando con un gesto tragico un amore che ancora oggi aleggia sulle rive del lago.
Dimenticata dalla storia, ma non dalla sua terra, Vittoria Aganoor Pompilj continua a vivere nelle sue liriche e nell’atmosfera sospesa del Trasimeno, dove la sua voce sembra ancora risuonare tra le onde leggere e i tramonti infiniti.

Il profumo: accessorio di seduzione
Nell’antichità, la cosmetica si trasformò da pratica rituale a simbolo di bellezza e seduzione. Tra gli accessori più preziosi, il profumo divenne un lusso ambito, custodito in raffinati unguentari di ceramica, alabastro o vetro.
Utilizzati da Greci, Romani ed Etruschi, questi piccoli vasi contenevano oli profumati a base di oliva o mandorle, arricchiti con essenze esotiche. Gli unguentari erano veri status symbol, indispensabili nella “cista” femminile accanto a pettini, specchi e gioielli.
Ovidio, nella sua Ars Amatoria, ammoniva sull’importanza di un buon profumo. Oggi, questi eleganti manufatti, un tempo oggetti di desiderio, sono esposti nei musei umbri, come il Museo Archeologico di Orvieto, testimoni silenziosi di un’arte seduttiva senza tempo.

L’Eleganza delle donne Longobarde
L’abbigliamento femminile longobardo è poco documentato, ma alcuni indizi ne svelano dettagli affascinanti. Le figlie di Romilda, vedova di Gisulfo, per proteggere la propria castità nascosero pezzi di carne tra le fasce indossate sul seno, suggerendo l’uso di una sorta di reggiseno. Si ipotizza inoltre che fossero diffuse sottocamicie e fasce in lino per le gambe, mentre le donne di rango elevato indossavano vesti preziose con broccature in oro.
Maggiori testimonianze provengono dai gioielli: le donne longobarde sfoggiavano due coppie di fibule, una a chiusura del mantello e l’altra sulla cintura. Tra i reperti provenienti dalla necropoli di Nocera Umbra (VI-VII secolo), alcuni dei quali sono esposti al Museo Nazionale del Ducato di Spoleto, spiccano le fibule a “S” in oro con inserti in pietre dure e pasta vitrea, raffiguranti un animale bicefalo stilizzato, e quelle ad arco in argento, finemente decorate con motivi zoomorfi astratti.

La Venere del Lago Trasimeno
Da sempre la donna è simbolo di bellezza e fecondità, un archetipo che affonda le sue radici nella preistoria. Le piccole “Veneri” paleolitiche, disseminate in tutta Europa, esibiscono forme generose, con seni prosperosi, fianchi e glutei pronunciati, evocando il culto della fertilità.
L’Umbria vanta la sua icona: la Venere del Trasimeno, una minuscola scultura in steatite marrone, alta appena 4 centimetri, scoperta alla fine dell’Ottocento nei pressi del lago. Il suo aspetto è enigmatico: priva di testa, braccia e gambe, conserva un fascino misterioso che ha sollevato interrogativi tra gli studiosi. Pur mancando certezze sulla sua interpretazione originaria, il suo stile richiama la celebre Venere di Willendorf.
Oggi, una copia è visibile al Museo della Pesca e del Lago Trasimeno a San Feliciano, mentre l’originale è custodito al Museo Pigorini di Roma.

Il Fascino senza tempo della semplicità
Sofisticato, etereo, regale. Lo stile Impero, nato tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 sotto l’influenza del regime napoleonico, segna una rivoluzione nella moda femminile, abbandonando le rigide strutture del Settecento per abbracciare una nuova, raffinata leggerezza.
Ispirati all’eleganza classica dell’antica Grecia, gli abiti si distinguono per linee pulite e verticali, con scollature profonde, vita alta segnata da nastri sotto il seno e maniche a palloncino. I tessuti? Impalpabili e fluidi, come la mussola di cotone, la seta e il tulle, che accarezzano il corpo con grazia e sensualità.
Lo stile Impero è il simbolo di una nuova femminilità reso iconico da Joséphine de Beauharnais, l’incantevole moglie di Napoleone. Un magnifico esempio di questo gusto senza tempo è l’abito di Alexandrine Bonaparte, cognata dell’Imperatore, custodito al Museo del Tessuto e del Costume di Spoleto. Un pezzo che racconta non solo la moda, ma il potere e la seduzione di un’epoca.

Il curioso dipinto di Palazzo Vitelli alla Cannoniera: storie di ardimentose mogli e crudeli amanti
Nella penombra della scalinata di Palazzo Vitelli alla Cannoniera, un affresco audace cattura lo sguardo: una giovane donzella, avvolta in un’aura di mistero e potere, cavalca con grazia sovrana il dorso di una figura maschile, imbrigliata come un giumento. Questa scena, carica di simbolismo e provocazione, sembra sussurrare segreti di un passato intrigante.
Il suo volto, dipinto con precisione quasi fotografica, in contrasto con le figure femminili sbiadite delle lunette laterali, ha fatto interrogare gli studiosi sulla sua identità: sarà la leggendaria “sora Laura”, amante fatale di Alessandro Vitelli, il cui fantasma si dice si aggiri tra le sale del Palazzo? O forse Angela Rossi, donna di ferro e protagonista indiscussa della storia familiare?
Lo storico Vittorio Corbucci avanza un’ipotesi affascinante: l’eterno femminino qui rappresentato potrebbe essere un tributo alla forza indomabile di Angela, che non esitò a sfidare persino un prelato spingendolo giù dalle scale.
