Dillo con un fiore - Dillo con un fiore
Dillo con un fiore
Siamo all’inizio del Novecento quando la marchesa Elena Guglielmi fonda nell’Isola Maggiore del Lago Trasimeno una scuola dove insegnare una tecnica particolare di lavorazione a uncinetto: quello che verrà indicato come Pizzo Irlanda.
Le donne che vivevano sull’isola, figlie e mogli di pescatori, erano già abili nell’intrecciare reti da pesca, e appresero con velocità questa nuova tecnica introdotta dalla marchesa.
Così nasce la tradizione del pizzo Irlanda prodotto nell’Isola Maggiore, che segna una svolta per l’economia dell’isola, dando lavoro a numerose donne che vivevano di questo lavoro fatto di passione e di eccezionale manualità.
Il Merletto d’Irlanda è una tecnica estremamente affascinante che, utilizzando i normali punti all’uncinetto, dà origine a motivi soprattutto floreali: tra questi la più famosa è la rosetta, il fiore realizzato di candido filo che incarna l’intero mondo delle donne umbre che hanno reso celebre l’isola Maggiore e il suo pizzo Irlanda.
Questa produzione prende il nome da una tipologia di merletti che viene prodotta nei conventi irlandesi con la tecnica del tombolo. Quello umbro viene eseguito con l’uncinetto, strumento che ne velocizza la realizzazione senza intaccarne la bellezza e la raffinatezza, tanto che ben presto diventano ricercati vezzi estetici soprattutto per le nobildonne perugine, fiorentine, romane e della casa reale regnante.
Il fiore a sei petali è un simbolo così importante che si ritrova in tante culture, ma che in Umbria è spesso associato a un popolo che ha lasciato numerose necropoli. Anche gli Etruschi utilizzavano il fiore della vita su alcuni oggetti funerari, ponendolo in bella vista nel tetto della casa simbolica che avrebbe accolto le ceneri del defunto, l’urna cineraria.
Questo fiore, collocato all’interno di un cerchio, porta con sé un messaggio di rinascita: la ciclicità della sua mistica geometria oltre che all’aspetto funerario lo fa diventare simbolo di protezione inciso successivamente su oggetti quanto su architravi, finestre e portali di chiese. Sempre a Perugia lo stesso simbolo si trova inciso sul portale del complesso templare di San Bevignate, a testimonianza di come questa immagine abbia assunto un significato importante anche per il rinomato ordine cavalleresco della Chiesa Cattolica.
Anche se non si tratta propriamente di un fiore, un dettaglio nascosto in un dipinto rappresenta un vero e proprio rito che tutti, almeno una volta, abbiamo compiuto.
L’opera in questione, che oggi si trova nella Galleria Nazionale dell’Umbria ma proviene dal monastero di Santa Maria delle Clarisse a Monteluce, è una stupenda e vivace raffigurazione dell’Adorazione dei Magi, opera di Bartolomeo Caporali, che fu probabilmente maestro del Perugino.
Nascosto tra le pieghe del terreno questo pittore ha avuto l’accortezza o piuttosto il piacere di dipingere con minuzia uno dei più bei simboli della primavera: una pianta di tarassaco il cui fiore ha ormai lasciato spazio a un soffione. Che il fiore speciale di questo dipinto sia un desiderio ancora da esprimere?
I fiori non compaiono solo su affreschi e tele dipinte, ma restano un elemento decorativo che riesce a impreziosire ogni oggetto. A Deruta, la città della ceramica, fin dal medioevo vengono utilizzati nella produzione di maioliche: girali di fiori e foglie sono realizzati sin dagli albori di questa illustre produzione, quando i colori venivano ottenuti disegnando la forma voluta con delle speciali preparazioni di ossidi metalli e grazie a un delicato e difficile gioco di cotture a temperature elevatissime. Per creare i colori e le sfumature di questi elementi floreali si potevano utilizzare ossidi di stagno e di rame per il verde, quelli di ferro per il giallo, e di cobalto per ottenere il blu.
A volte le decorazioni non erano realizzate solo per un puro gusto estetico: tra i vasi più curiosi e riconoscibili, esiste una forma ceramica conosciuta col nome di albarelli, che ancora oggi si possono ammirare sbirciando oltre il bancone di alcune farmacie storiche.
Gli albarelli erano dei vasi realizzati per conservare i prodotti della bottega dello speziale, tra i quali vi erano molte piante e fiori, e spesso si può trovare qualche vaso decorato con l’immagine di ciò che era destinato a contenere.
Petali di fiori che diventano la sostanza e l’anima delle Infiorate più famose dell’Umbria, che si tengono ogni anno a Spello in occasione del Corpus Domini.
Nonostante la tradizione delle infiorate non sia affatto recente, è proprio Spello la città a cui va attribuito il merito di averla trasformata in una manifestazione d’arte già negli anni ’30 del Novecento, quando una donna utilizzò i profumati petali della ginestra e dei rametti di finocchio selvatico per dare origine al primo tappeto dipinto con i fiori.
Con gli anni la manifestazione non solo ha mantenuto il suo primato ma si è ingrandita così tanto che oggi vengono realizzati ogni anno oltre 1.500 metri di infiorate, principalmente a tema religioso. La progettazione di ogni quadro richiede mesi di lavoro: oltre al disegno si scelgono i fiori che, con i loro delicati profumi, comporranno le effimere pennellate che fanno fiorire l’intera città.
Il mondo antico ha raggiunto una maestria ancora oggi inarrivabile nelle tecniche di lavorazione del vetro. Tra le tecniche di lavorazioni più antiche della materia vetrosa, precedenti anche alla lavorazione del vetro per soffiatura, ve n’è una molto particolare con cui era possibile realizzare vasi e coppe molto colorate, che sembrano ricordare quasi un prato in fiore.
Gli oggetti vitrei si ottenevano predisponendo un mosaico di tessere di diversi colori, realizzate tagliando strisce dalla forma cilindrica di vetro, che venivano prima accostate su un piano e poi scaldate e adagiate su un supporto, spesso in argilla, che dava a questa delicata creazione la forma voluta.
Gli oggetti realizzati con questa particolare e articolata tecnica di lavorazione assumevano un variopinto cromatismo che si poteva ottenere attraverso l’accostamento di vetri dai colori sgargianti e, per questo motivo, è stata soprannominata in modo quasi romantico come “vetro millefiori”.
Alcune di queste eleganti coppe millefiori sono state rinvenute anche all’interno di necropoli e contesti archeologici dell’Umbria, come ad esempio le due coppe nei toni del blu datate al II secolo a.C. che provengono dalla necropoli di Todi.
Se è vero che santa Rita è legata alle api e alle rose, a Cascia vi è un’altra figura altrettanto importante che ha a che fare con i fiori. Si tratta della fanciulla rappresentata nello stemma del comune, una giovane dai capelli rossi che tiene in una mano un serpente e nell’altra un giglio. Una leggenda locale narra che, in una grotta nei pressi di Roccaporena, viveva una figura sfuggente e misteriosa, molto simile alla sibilla Appenninica. La donna era dotata di numerosi poteri magici come quello della veggenza, rappresentato proprio dal serpente che tiene in mano.
Questa figura non è altri che la ninfa Porrina, da cui si dice prenda il nome la stessa Rocca Porena, raffigurata con un fiore in mano per via della profezia legata al luogo in cui viveva, nel quale sarebbe nato un importantissimo fiore. La predizione della leggendaria ninfa si avverò nel 1380, quando in quel piccolo e sperduto villaggio umbro nacque una bambina a cui i genitori misero nome di Margherita, fiore che simboleggia in modo nuovamente profetico l’innocenza e la purezza che guidò la vita di quella che sarebbe diventata la santa dei casi impossibili: santa Rita.