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Abbazia di Santa Maria di Sitria

L’antica abbazia, edificata nel XI secolo dal fondate dell'ordine dei Camaldolesi,  è situata nel parco naturale del Monte Cucco in una isolata valle tra il fosso Artino e le pendici del monte Catria, lungo il percorso che unisce Scheggia ad Isola Fossara.
Dell'antico Monastero resta oggi solo la chiesa  a pianta basilicale (”T”), con navata unica e transetto sporgente. Il presbiterio è fortemente rialzato ed un’abside semicircolare conclude l’impianto. In corrispondenza del lato destro del transetto, sopraelevato per far spazio alla cripta sottostante, si apre un ambiente destinato a sacrestia ed una sala con volta a botte.
La chiesa è stata costruita tutta in pietra squadrata.


La copertura della navata è costituita da una volta a botte ogivale mentre l’abside, con una piccola feritoia centrale, ha una copertura a catino. Restano qui frammenti  di un affresco del XVIII secolo.
Interessante l'altare duecentesco in travertino, formato da una pietra sorretta da 14 esili colonne raccordate da archetti.
Da una stretta scala situata ai piedi del transetto si accede alla cripta, un piccolo ambiente con abside terminale. La copertura a volta, poggia su un’unica colonna monolitica con capitello corinzio (VI secolo), probabilmente proveniente da vicine costruzioni.
L’antico eremo, di cui non resta traccia, consisteva in piccole celle in pietra e legname.
Lo Iacobilli, storico folignate del 1600, ritiene che la badia venne fondata nel 1017 da San Romualdo che vi trascorse gli ultimi anni della sua vita in completa clausura.
Nel corso del tempo, la badia inglobò molte chiese,  ma nel XIV secolo incominciò una lenta decadenza fino a quando (1450) fu data in commenda da papa Niccolò V. Gli abati commendatari ne curarono il restauro nel XVI secolo e durarono fino al 1810, quando il papa Gregorio XVI li assegnò al vicino monastero di Fonte Avellana.
Nel 1861 i beni dell’abbazia furono soppressi dal Governo Italiano che li affidò a privati; la chiesa diventò casa colonica e il fonte battesimale fu trasferito nella Chiesa di Isola Fossara.
Successivamente ritornò ai monaci di Fonte Avellana che provvidero a restaurarlo nel 1972.

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